IO CREDO- Laura Giovagnoli

 

Io credo… nella

Libertà

Io credo… nella

Pace

Io credo… nella

Speranza

Che nella nostra

vita ci siano

sensazioni positive

Questo… monito è per

i giovani che vogliono seminare … cose

Belle…

Amore, pace, gioia,

Libertà, amicizia,

solo segni d’amore

è libertà!

I SEMI BUONI PER L'UMANITA'- Paola Buccianti -

 

I semi buoni per l’umanità

non devono essere geneticamente modificati

Devono ardere al sole

Devono bagnarsi con la pioggia

Devono piegarsi alle furie del vento

I semi buoni

devono crescere diritti

grazie alla mano amorevole del contadino

I semi buoni

succede che lasciati a se stessi

in terreni mal concimati

in campi aridi e abbandonati

spesso crescano storti

Ma i semi buoni

poi conoscono la strada per raddrizzarsi

E diventano Piante forti

con radici ben interrate

E rami protesi verso il cielo

E frutti dolci e sugosi

I semi buoni

non stanno nei sacchi ammassati

del magazzino del latifondista

I semi buoni

si nascondono nella tasca di un bambino

che tornato dal mercato

non vede l’ora

di piantarli nel suo giardino

di curarli

innaffiarli

concimarli

e veder crescere

dai quei semi

i Suoi fiori più belli

LA COSTRUZIONE DI UN PIANETA PULITO- Giuseppe Mandia -

LA COSTRUZIONE DI UN PIANETA PULITO

- Giuseppe Mandia -

C’è un pianeta, il nostro pianeta

quello che abitiamo male

che di limpide ormai ha solo poche anse di cielo

e potabile la sorgente di un ruscello ancora inesplorato;

tenere isole a fatica difende che

in balia dello sviluppo stanno come gli occhi impauriti

svuotati di quel gatto selvatico che in televisione

mostra come non può più predare.

 

Ci invadono piramidi di spazzatura fumante

e dedali di tetri spigoli cementificati

e colonne di muscolosi camion assordanti,

altalene di merci per nutrire il progresso,

qui dove stanziavano filari d’uva, triangoli di ciliegi,

pianure e colline dorate buone per volpi, fagiani

e quadri di pittori naif.

 

Basterà immaginare un pianeta migliore?

O provare a pulirne gli angoli

e i lati con un canovaccio di forse?

 

Meglio iniziare d’improvviso

a smussare, ossigenare, ricostruire

lo spazio irripetibile che ci ospita;

a creare paesaggi gentili, ospitali;

a rigenerare, conservare, scambiare

colori, odori, sapori e saperi,

pezzi di storia che ci insegneranno la vita

e come ridare la vita a piante, città e animali

che certo così ci salveranno la vita.

LA SPERANZA E PANDORA- Michela Grasso -

LA SPERANZA E PANDORA

- Michela Grasso -

Era iniziato tutto da delle note leggere. Mi svegliarono, fu come rinascere dopo un sonno infinito. I miei occhi si spalancarono nel buio. Dio mio quanto era buio, potevo toccarlo, potevo sentire il suo odore, mi schiacciava a terra, quella terribile assenza di luce dopo pochi secondi mi aveva già resa folle.

Ero sola,sola in mezzo al buio denso,i miei occhi non riuscivano ad adattarvicisi,avrei voluto urlare e chiamare aiuto ma non sapevo più come parlare,gridare,piangere.

Non so quanto passò,non sapevo nemmeno chi fossi,non ero in grado di ricordare il mio nome,qualcosa mi stringeva il petto e ora come ora non so dirti nemmeno come io possa essere sopravvissuta nel caos . Iniziai a vagare, mi nutrivo di semi che trovavo a terra, una terra che non era terra, era materiale vischioso che si attaccava alla mia pelle nuda e che più volte avevo provato a ingoiare in preda alla fame con il solo risultato di vomitare anche i pochi semi che trovavo. Stavo impazzendo, volevo morire, volevo fuggire, volevo il mio vecchio mondo, volevo la luce, volevo la luce, volevo la compagnia di un essere umano.

In uno dei miei vagabondaggi infiniti sentii il rumore del mare, di colpo. Fu come se qualcosa si fosse riacceso dentro di me e in contemporanea il mio corpo iniziò a correre,quando ero in vita per davvero,sulla vecchia terra,era l’unico posto dove mi sentissi a casa,ed ero stupidamente convinta che una volta arrivata, tutto sarebbe tornato come prima.

Mi ci gettai dentro,incurante di ogni prudenza. Lo sentivo vivo contro il mio corpo,che credevo morto,fu la prima cosa che mi fece capire di essere sopravvissuta a tutto,ero viva e capivo solamente questo. E in quel momento,desiderai solamente scendere a fondo e non tornare più alla buia superficie. Le onde accarezzavano le mie braccia e le mie gambe nude. Tornai bambina per un attimo,in un luogo di luce e di vita,dove niente poteva ferirmi.

Voci. Voci umane,vere. Voci forti. Urlavano chiedendo se ci fosse qualcuno in acqua,qualcuno di vivo,qualcuno come loro. Risposi gridando,la voce mi moriva in gola,non riuscivo a farmi sentire,tornai a riva nuotando come se qualcosa mi inseguisse,e effettivamente era la solitudine a inseguirmi,era la follia,era tutto quello da cui altri uomini potevano salvarmi

Questo è l’unico motivo per cui ora ti sto parlando,per quelle voci che mi hanno rigettato fuori dal mare.

Erano un vecchio padre e un giovane figlio. Mi accolsero,mi gettai su di loro senza nemmeno vederli,non potevano andarsene via,non dovevano,non volevo restare al buio.

Passò molto tempo prima di incontrare l’umanità? Si passò del tempo,ma non così tanto. Dopo qualche giorno nacquero le prime delicatissime stelle,solo che erano sotto il terreno viscido. Erano luminose e non si potevano raggiungere scavando. Da quel momento in poi,iniziammo a trovare l’umanità. Li trovavamo sparsi,in giro,quasi tutti sulle rive del mare,richiamati dalla sua presenza.

Parlammo molto,ricordavamo la vecchia terra,i prati,e gli ultimi attimi prima del buio.

Tu sei sempre curioso,e mi chiedi sempre perché,e tutte quelle cose assurde e ingenue a cui non posso rispondere. Dall’altra parte c’era il caos e probabilmente implose tutto di colpo. E noi siamo finiti sul fondo dell’universo,a sopravvivere.

Si,so di star travisando,ma vedi devo cercare di prendere tempo,perché qua sotto,il tempo è sempre troppo.

Si accesero luci e si udirono voci emergere dal buio ancestrale; Puoi solo immaginare cosa questo scatenò in noi,avevo paura,e sentii addirittura la mancanza del buio. Dalla volta celeste iniziò a scendere una pioggerella leggera e poi sempre più insistente, sotto i miei piedi e sotto i piedi di tutta l'umanità allora esistente si consolidò un terriccio morbido che profumava di vita,un profumo sconosciuto, la pioggia allora divenne una pioggia di piccoli semi, che toccata terra germogliavano. Qualcuno pianse.

In quel momento di indefinita gioia e paura ci misi qualche minuto ad accorgermi di gemiti di dolore, mi si gelò il sangue nelle vene, seguì un grido forte e penetrante. L’umanità si agitò, ci chiedemmo cosa stesse succedendo e scoprimmo una donna del gruppo,stesa a terra,a partorire. Ovviamente non compresi subito ,effettivamente fino a poco tempo prima era buio, escludendo la flebile luce delle stelle nascoste sotto terra, e trovai eroico il modo in cui aveva nascosto il suo segreto, aveva camminato, mangiato semi che ti davano la quantità di energia necessaria a un bambino, tutto per non perdersi di nuovo nell'oblio. Era il primo segno di una nuova umanità molto più forte, e tenace,

E mentre lei urlava, e cercavamo disperatamente di aiutarla, nacque il primo campo sconfinato di girasoli della storia di questa nuova umanità, e subito dopo iniziarono a piovere semi più grossi, poi spore che galleggiavano nel vento e in contemporanea a queste qualcuno starnutì.

Con le mani sentii emergere la testa del neonato,la presi leggermente tra le dita, e le dissi di spingere. “Ti prego,spingi”

Passò un minuto e crebbe l'erba intorno ai girasoli, poi si iniziarono a intravedere le prime betulle dalle fronde color argento,e così via fino ad arrivare ai peschi, alle querce e ai frassini.

Nacque una bambina, un po' piccola per la media a cui eravamo immaginati.

Erano mesi,anni,giorni che non vedevo la luce,così vivida. Sorrisi beatamente,a quel dolore piacevole che accompagnava la sua venuta.

Si sentì una risata, qualcuno rideva, fu la prima risata in quella terra neonata che iniziava a illuminarsi. Tutta l'umanità allora esistente, che ammontava a una decina di persone,guardava tutto con gli occhi spalancati di bambini. Era ora di dimenticare quello che un tempo era stato e di piantare nuovi fiori in quella terra fertile, la terra fertile di quel neopianeta, sul fondo dell'universo.

Ci furono molte esplosioni improvvise di luce color oro che si dibatteva come un embrione sotto la superficie del buio, nelle vicinanze delle stelle, poi sentimmo una musica, l'armonia dei pianeti di cui parlava Pitagora, infinitamente dolce si intrecciava in volute intorno a noi per poi sciogliersi di nuovo e infine scomparire nel nulla. Era nato un nuovo mondo. Un nuovo universo. Una nuova galassia, Era stata partorita da quella donna insieme alla

bambina, una vita aveva portato a tantissime altre migliaia di vite silenziose, le piante. La neogea si popolò di alberi, erano ovunque e sorse un nuovo sole da quello che il vecchio marinaio del gruppo presupponeva fosse il nord. Eravamo in cerchio e ci guardavano tutti negli occhi. Il vecchio marinaio, la madre e il padre della neonata che in quel momento dormiva, io e il ragazzo, una donna cieca e un uomo e un bambino e una bambina, tutti smarriti in una nuova realtà, troppo diversa da quella passata. Sotto il terriccio si intravedeva una luce,un'altra luce. Dobbiamo scavare? discutemmo a lungo, e se fossimo rimasti delusi? Se ci fosse stato qualcosa di pericoloso? Se ci fossimo affaticati per nulla, spendendo le nostre poche energie?

Io smaniavo dalla voglia di scoprire cosa ci serbasse ancora quella nuova terra, ma come potevo biasimarli, eravamo solamente in dieci

Alla fine prendemmo una decisione.

Il ragazzo iniziò a scavare e io lo aiutai e nonostante le nostre debolezze fisiche date da quel lungo periodo di agonia continua che aveva preceduto la rinascita riuscimmo a raggiungere la fonte di luce in breve tempo.

Le nostre mani toccarono una superficie dura e legnosa, emerse uno scrigno, c'era scritto sopra PANDORA,che in greco significa “Tutte le cose donate” ed è anche il nome della prima donna, sfortuna dell’umanità. Il ragazzo lo aprì senza nemmeno pensarci, e il vecchio cerco di fermarlo inutilmente, gridando con terrore e ricordando le cose successe l'ultima volta che qualcuno lo aveva ingenuamente aperto.

Semi, lo scrigno era pieno di semi luminosi di ogni dimensione.

Mi venne da vomitare guardandoli, ne avevo visti fin troppi di semi.

Dobbiamo piantarli? Chiese il neopadre. Non lo sapevamo. Nel dubbio piantammo il primo, un seme grosso e così luminoso che quando lo guardai mi bruciarono gli occhi e subito dovetti distoglierli. Aspettammo, le betulle erano nate in poco tempo e infatti dopo qualche secondo spuntarono le prime foglie, la pianta crebbe, era un melo.

Risatine nervose, ironia della sorte.

Piccole mele nere spuntarono da delle gemme scure come quelle dei frassini, senza che nessuno lo avesse detto, tutti capirono che la mela era il tutto e conteneva in sé ogni cosa e che ogni uomo su quella nuova terra avrebbe dovuto mordere uno dei suoi frutti e poi piantarne il seme, ovunque lui volesse, per non privare nessuno del peccato della conoscenza.

Ogni seme contenuto nello scrigno rappresentava qualcosa, da emozioni come la gioia a condizioni dell’essere come la pace, e ogni seme andava piantato e ogni frutto di ciascuna pianta andava piantato proprio come per i meli, per non privare nessuno dei peccati della consapevolezza.

E’ passato tanto tempo, c’è una seconda generazione di uomini, i nostri figli, ora siamo più di prima e sappiamo gestirci, siamo riusciti a trovare altri esseri umani soli e sperduti tra i campi di girasoli e ormai formiamo una comunità. Ogni albero è venerato, a prescindere da cosa rappresenti.

Ma non ne abbiamo piantato uno, la speranza, il seme era perfettamente riconoscibile, tondo e piccolo, verde e dolcemente luminoso, prenderlo in mano significava stare immediatamente meglio. Non lo abbiamo piantato perché la speranza è già dentro di noi, è la nostra linfa, è la nostra natura, e piantarlo poteva significare anche perderlo per sempre, temevamo infatti che come la semplicità o il terrore, non germogliasse. E il seme ora è lì, in una piccola teca, pronto a essere piantato per quando non ci sarà più speranza nelle vene di nessun uomo.

Le stelle, a differenza di troppi di noi, sono ancora là, incastonate sotto terra, le vediamo brillare flebili, solo dopo molti anni siamo arrivati alla conclusione che questo non sia il fondo, bensì il soffitto dell'universo, un universo parallelo dove il cielo è nero e il terriccio luminoso.

E anche ora, che sono vecchia e pensosa, dopo aver perso e guadagnato molto, dopo aver visto tanti miei compagni morire nel periodo dell’agonia che precedette la nascita di neogea e anche in seguito per vecchiaia o malattie, infatti purtroppo o forse per fortuna, restiamo umani con tutti i difetti che si accompagnano a questa specie, e posso assicurarti dopo questo insieme di ricordi frammentati e sparsi sul periodo del buio, insieme alla prima donna di questo pianeta, Pandora, che la speranza è il seme buono per il futuro dell’umanità.

L’albero di Giovanni (A Giovanni Falcone)(Atto II)- Davide Rocco Colacrai -

 

Ogni padre è il molo del cuore di suo figlio

e ne anticipa il nome e il destino,

un po’, sono solito pensare, come fa Dio con noi padri.

Poiché ogni compleanno comporta un’ipotesi d’uomo in più che potrà essere,

il giorno del suo primo decennio, a mio figlio

ho raccontato la storia della nostra città e del suo nome.

Sotto la dolce ombra di un albero che si chiama Giovanni,

in un’ora che correva dritto incontro al mare,

erano pregne, le mie parole, di una città ostaggio di una piovra indefinita

che si nutriva delle radici di sangue dei suoi figli;

ed ogni loro respiro era confinato in un’eclissi della vita

dov’era interrata una croce d’ombra con gli anni.

L’uomo, da cui il nostro albero ha preso il nome,

ha offerto il suo sangue a questa piovra in un coro dal colore della guerra

e liberato la città dal suo essere martoriata al silenzio degli usignoli;

ha baciato ogni sua ferita,

e a ogni bacio le radici dell’amore si sono congiunte alla terraferma

sotto forma di un’armonia di sogni.

La nostra città ha iniziato a colorarsi

proprio come quei colori di carta che porta con sé l’albero,

un po’ come i fermagli nei capelli delle sue compagne ha detto mio figlio;

e ha iniziato a scoprire il cielo,

a chiudere gli occhi e ascoltare le strade,

a farsi cullare al sentirsi chiamare con il suo nome e sorridere.

Ogni padre è il molo del cuore di suo figlio infatti,

e ne scrive la storia

al passo d’orma che lo appressa a Dio.

Così ha fatto l’uomo dell’albero per ogni sua foglia;

come uno dei suoi eroi ha detto mio figlio,

gli occhi pieni dell’azzurro di un nuovo giorno, senza tornanti, da plasmare.

SEMI PER UN MONDO DI PACE- Alla Melnychuk -

 

Troppe mine abitano i campi del mondo

molti missili, innumeri cannoni e fucili

consegnati a forza ad adulti bambini

presi nella morsa del male

del ricatto, del bisogno.

Forse il mio è solo un piccolo grande sogno:

vedere crescere distese di grano

bambini rincorrersi a perdifiato

in preservati angoli di prato

che carezzano boschi di betulle

divertiti dalle risa e dal cielo

limpido e morbido, sereno.

Ho deciso di portare in ogni curva di mondo

semi e sorrisi che diano armonia

idee di concordia e frutti per tutti

senza confini inventati

nazionalismi estremi

e anime sorelle costrette ad odiarsi

per un incerto destino diviso.

L’orizzonte scruto.

È in arrivo un immenso sole

ad abbracciare un unico mondo

un’unica voce

che nasca da un mondo di pace.

SEMI PER UN MONDO DI PACE - Alla Melnychuk -

SEMI PER UN MONDO DI PACE

- Alla Melnychuk -

Troppe mine abitano i campi del mondo

molti missili, innumeri cannoni e fucili

consegnati a forza ad adulti bambini

presi nella morsa del male

del ricatto, del bisogno.

Forse il mio è solo un piccolo grande sogno:

vedere crescere distese di grano

bambini rincorrersi a perdifiato

in preservati angoli di prato

che carezzano boschi di betulle

divertiti dalle risa e dal cielo

limpido e morbido, sereno.

Ho deciso di portare in ogni curva di mondo

semi e sorrisi che diano armonia

idee di concordia e frutti per tutti

senza confini inventati

nazionalismi estremi

e anime sorelle costrette ad odiarsi

per un incerto destino diviso.

L’orizzonte scruto.

È in arrivo un immenso sole

ad abbracciare un unico mondo

un’unica voce

che nasca da un mondo di pace.

SPERANZA- Matteo Gorelli -

SPERANZA

- Matteo Gorelli -

I semi buoni per il futuro dell’umanità,

otto parole che tormentano il mio sogno.

Giovani infiammati dall’incapacità

Di dare spazio

ai propri talenti.

Adolescenti arrabbiati,

dal malessere schiacciati

per non sapersi esprimere

per non poter trasmettere.

Nei reclusori ho trovato

i cuori più sensibili,

le delicatezze più preziose.

Gli uomini piangevano ridendo

con sguardo velato

e lifting di sorriso:

il loro essersi uccisi,

l’aver spaccato il corso

del loro nobile flusso.

Quanta luce si nasconde

dietro un gesto

di atroce oscurità?

Il tempo aveva preteso troppo

da quegli esseri,

costringendoli a brillare

senza offrire

nessuna serenità.

Si purgatoriavano

dentro alla non più possibilità,

per non sentire il dolore

di quella costrizione,

del dovere dell’anima,

la sua responsabilità.

Era da questi uomini distrutti,

simboli pieni di fragilità,

che si sarebbero fatti

mucchi di ceneri

per poi accendere il fuoco nuovo:

futuro dell’Umanità.

STANCA LITOGRAFIA DOMESTICA - Mario Visone -

STANCA LITOGRAFIA DOMESTICA

- Mario Visone -

Tutto il resto

della notte

è insonnia,

complotto,

vento che sveste paragi.

E’ un’ombra, la mia,

seduta alla scrivania

dove invecchiano

fiori di betulla

che provano ancora a desiderarsi,

a ricordarsi

delle secche degli oceani.

Spogliati delle rosee corazze di corallo,

della loro pelle e dei loro peli,

aspettano

foderandosi di pulviscolo domestico,

di polvere stantia

che, sguattera, scondinzola al buio.

Tutto il resto

della notte

è attesa del biancore,

è nostalgia

del miele ambrato,

della vischiosa resina del bosco,

del corpo virginale della terra,

del ramo.

È fame primitiva

che non si sazia

nell’acqua di un barattolo matrimoniale,

nell’agrodolce ed insorgente odore

del vino e del limone,

nell’ostia della quaresima,

nel rigurgito della cipolla.

Tutto il resto

della notte

è inchiostro nero

che rifiuta

di sentirsi prigioniero.

UN FUTURO SEMPLICE PER UN PASSATO IMPERFETTO - Alexa Solarino -

UN FUTURO SEMPLICE PER UN PASSATO IMPERFETTO

- Alexa Solarino -

"Sono le ore 05:45 e suona la sveglia, fra uno sbadiglio e un occhio nero dal trucco che per la stanchezza la sera precedente non ha avuto il coraggio di togliere, si veste infreddolita e, trascinandosi fino al pullman dopo una colazione a base di the bollente, crolla addormentata dopo pochi minuti. In un modo o nell'altro, è riuscita a fare tardi perdendosi fra le risate e gli schiamazzi notturni dopo una giornata decisamente stancante: la visita al Campo di Concentramento per prigionieri politici di Dachau l'ha particolarmente toccata eppure la salita sulla Olympiaturm, la torre del villaggio Olimpico di Monaco, ha scacciato le riflessioni pesanti: un ascensore che percorre sette metri al secondo lascerebbe senza fiato anche la più triste delle persone. Ma come tutti sanno la solitudine porta con sé i pensieri più profondi e tra questi la consapevolezza che in quel campo in cui i lavori non erano esageratamente pesanti e i forni venivano accesi "solo" per chi moriva di stenti, in cui le camere a gas erano state utilizzate "solo" un paio di volte e le persone potevano tenere con sé un oggetto che ricordasse loro il motivo per cui avevano la forza di continuare a lottare, quella ragazza non avrebbe avuto la forza di resistere neppure per un solo giorno.

Ma come dicevo è un nuovo giorno e, sebbene la stanchezza si faccia sentire, il lungo tragitto Monaco - Linz le permette di riposare e ritrovare l'energia per prepararsi alla tappa più pesante: le due grandi prove che questa visita in Austria le riserva.

Ore 12:30 circa, il pullman si ferma all'entrata del Castello di Hartheim. Con un balzo scende dal pullman e fra le risate di un gruppo di trenta ragazzi resta di stucco di fronte a ciò che vede davanti ai suoi occhi: una pala, una pala di ferro che ha triturato almeno 30/40 mila bambini e ragazzi... vivi. Resta scioccata, quella ragazza, davanti a una tale visione. Rabbrividisce, nonostante il caldo afoso di quel giorno di inizio agosto, al solo pensiero del ferro tagliente sulla pelle nuda dei bambini. Una volta varcata la soglia del castello, le lapidi di commemorazione provocano un certo smuoversi all'interno del suo stomaco ma il difficile è sicuramente il passo successivo: la lastra di vetro con i nomi dei 24.000 bambini e ragazzi dei quali è rimasta una testimonianza. La metà di quelli che sono morti lì? Un quarto? Chi lo sa? Bambini che per i piedi piatti, le malattie o il seno sottosviluppato venivano portati nel "castello delle favole" dove, per quanto ne sapevano, sarebbero stati guariti. Vita media nel castello dal giorno di arrivo? 8-10 giorni. Eppure il progetto di perfezione della razza ariana prevedeva due realtà: le crudeltà che avvenivano in quel castello erano solo la "migliore" di quelle due, se fra di esse può esserci qualcosa di meglio. Perché per quanto fossero spietate le misure prese in quel luogo era ancora più orribile sapere che le famiglie scoprivano che i loro bambini erano morti a volte anche un anno e mezzo dopo la morte reale.

Perché naturalmente venivano informate regolarmente dei progressi dei bimbi che in realtà erano stati uccisi da tempo. E quando era tutto pronto per riportarli a casa, un'epidemia o la polmonite li uccideva: "casualmente", "sfortunatamente", "inarrestabilmente". E dopo aver ascoltato la storia del castello di Hartheim quella ragazza si prende un attimo per se stessa, per riflettere; e riflette su cosa le sarebbe accaduto in quell'epoca, su cosa quel "programma di perfezionamento" le avrebbe riservato se fosse nata in quei giorni. E trova, in un primo momento, due motivi per cui l'avrebbero portata via entro i sei mesi, almeno diciotto motivi per cui sarebbe finita in quel castello entro i dieci anni e altri dodici per cui sarebbe stata rinchiusa in quel posto prima dei diciotto anni. Ne ha sedici di anni quella ragazza, e se fosse nata in quei giorni sarebbe morta trentadue volte. E per un attimo, davvero solo per

qualche secondo, si sente perfetta così com'è: piena di cicatrici che testimoniano le imperfezioni del suo cuore, delle sue ginocchia e della sua anima, con poco seno, gli occhiali, l'apparecchio e i mille difetti che si trova giornalmente quando, inorridita come ogni ragazzo a questa età, guarda la sua immagine riflessa nello specchio.

Ma il pugno nello stomaco provocato dalla visione di questo castello non è abbastanza. Dopo un pranzo leggero a causa dell'amaro che Hartheim le ha lasciato in bocca, alle 14:30, sotto il sole cocente, ad attenderla c'è qualcosa di ancora più grande: il Campo di Sterminio di Mauthausen.

La realtà è completamente diversa da Dachau e se ieri il suo stomaco aveva sobbalzato al racconto della storia di quel campo oggi si è ribaltato nel suo ventre. Nel campo di Mauthausen i soldati giocavano a calcio con i bambini. No, non intendo insieme ai bambini, io intendo proprio con i bambini. Si divertivano davvero molto a calciare prima un bambino di un anno, poi uno di pochi mesi, poi uno partorito nel lager e infine di nuovo uno di un anno; il tutto, naturalmente, davanti allo sguardo inorridito delle madri che guardavano i loro figli ridotti ad essere la palla presa a calci dai soldati delle SS. Le baracche, la fossa comune, le camere a gas e i forni crematori, i pigiami, la stanza dei 250.000 nomi dei detenuti che non ce l'hanno fatta e gli strumenti di tortura, tutto questo frulla nella testa di quella ragazzina nel momento in cui vede qualcosa che inizialmente la fa sorridere ma che, successivamente alla spiegazione, la fa inorridire: un tavolo operatorio. È un tavolo operatorio in pietra: bello, intatto, originale. Uno dei primi tavoli operatori, attrezzati per un'operazione pressoché sterile. L'idea di tavolo operatorio, partendo dal presupposto che il suo sogno è studiare medicina, la porta a pensare a medici che salvano vite, la sua stessa vita è stata salvata su uno di quei tavoli otto anni prima. Ma poi la realtà sbattuta in faccia sradica dalla sua mente l'idea del "giorno perfetto per salvare vite": i "pazienti", come ad Hartheim, venivano operati a mente lucida e senza anestesia su quel tavolo operatorio che le ha strappato un sorriso appena è apparso davanti ai suoi occhi. E sicuramente il giorno che aprirà i miei libri di medicina e approfondirà lo studio della neurochirurgia non potrà evitare di pensare che ciò che il mondo conosce sugli stimoli celebrali è dovuto a quei pazienti ai quali aprivano letteralmente la testa in due per "studiarne" il contenuto; non potrà fare a meno di pensare alle urla e al dolore che i medici hanno procurato a quelle persone stese sul suo tanto amato tavolo operatorio. E anche se il suo sogno non è quello di diventare un neurochirurgo sicuramente una parte di lei ricorderà, sempre e per sempre, che le procedure che ha studiato, gli aneurismi clippati e i tumori recisi senza quelle povere "vittime sacrificali", se così possono essere chiamate, oggi sarebbero più ignote delle altre ipotetiche forme di vita dell'universo.

E infine la Scala della Morte. L'unico luogo legittimato al suicidio, un luogo in cui i detenuti potevano farla finita e mettere la parola fine alle loro sofferenze. Una scalinata che quella ragazza ha guardato percorrere da ventinove ragazzi, chi a piedi nudi e chi no, per rivivere ciò che i detenuti vivevano giornalmente. E guardando quei ragazzi si sente minuscola perché per un ginocchio da poco operato non ha affrontato una scalinata che chi viveva in quel lager percorreva ogni giorno più e più volte con poco più che un po' di ossa, uno strato di pelle addosso e qualche chilo di pietra fra le braccia, sotto il sole, con la neve o con il diluvio universale.

È inutile negare o nascondersi dietro a un dito: tutto questo è esistito e i film non sono niente in confronto alla realtà. Quella ragazza era convinta di essere preparata, era persino riuscita

a guardare per la milionesima volta "Il diario di Anna Frank" piuttosto che "Il bambino col pigiama a righe" riducendo le lacrime al "minimo indispensabile" ma niente è come vedere tutto dal vivo.

E quando si affaccia alla porta della nuova stanza dell'hotel con tre letti per due sole persone, la sauna, la vasca da bagno con le luci verdi e l'idromassaggio, il ventilatore, la rete wifi e la TV al plasma, permette alla felicità provocata da quel piccolo paradiso, totalmente diverso dall'ostello nel quale ha alloggiato i precedenti due giorni, di sfogarsi in risate e abbracci con i suoi amici: non sono più fuori dal mondo e possono farsi una doccia calda tutti, senza limiti di tempo perché l'acqua finisce; ma, subito dopo, si ricompone e si autorimprovera per quella reazione esagerata perché in fondo ci sono persone che, 70 anni fa, tutto questo non l'hanno mai avuto per la pura e semplice colpa di essere nate.

Ora sono le 03:00 del mattino, la sua sveglia suona tra meno di tre ore e lei è nella sua meravigliosa stanza con la sua meravigliosa amica che dorme accanto a lei e, come ogni momento in cui resta sola con se stessa, riflette. La sua vocina interiore le sta suggerendo che in poco più di un paio d'ore i tanti buoni propositi che la spingono ad essere felice per tutto quello che ha, svaniranno. Le ricordano che la sua autostima scenderà di nuovo sottoterra la prima volta che osserverà la sua immagine nello specchio. Le rammentano che... e qui entra in gioco la sua consapevolezza e la sua razionalità che rispondono che sì, sa che non sarà mai grata per quello che ha ma continuerà a rimpiangere ciò che non ha avuto, non si amerà mai quanto è in grado di odiarsi quando si vede riflessa nello specchio e sa che i suoi buoni propositi la abbandoneranno non appena tornerà a far parte del mondo vero. Sa tutto questo ma per un attimo è bello che possa essere consapevole di quanto meravigliosa sia la sua vita e di quanto meravigliosa e perfetta nella sua imperfezione sia lei. Per un attimo è bello che riesca ad amarsi tanto da sentirsi bellissima e speciale. Per un attimo è bello che possa sentirsi grande e capace di essere razionale per saper distinguere i veri problemi della sua vita dai problemi stupidi che affollano la sua mente di sedicenne incasinata. E anche se sa che la mattina successiva ricomincerà a sentire la mancanza di quella persona o di quell'altra, ad essere triste perché la tal persona non la cerca o a trastullarsi rileggendo le chat di persone che non sente ma vorrebbe sentire, stanotte sa essere grata di ciò che ha nel momento in cui può averlo e soprattutto di quella che è, anche con i suoi difetti e i suoi punti deboli. E allora tutto si che ha più senso. Allora sì che quella ragazza riesce davvero ad essere perfetta per un momento perché nonostante quei trentadue motivi di imperfezione, fossero i soli motivi per cui è imperfetta!, per cui l'avrebbero uccisa ad Hartheim, lei è viva. È viva ed ha ancora la speranza che anche solo il suo pensiero possa aiutare a cambiare, nel suo piccolo, questo mondo di pregiudizi e stereotipi, di crudeltà e segreti, di bugie e violenza.

Ah, quasi dimenticavo: quella ragazza sono io."

UNA LEZIONE CHE NON DIMENTICHERÒ- Nazareno Caporali -

UNA LEZIONE CHE NON DIMENTICHERÒ

- Nazareno Caporali -

1 A quel tempo facevo uso di droga e per procurarmi i soldi facevo le rapine in banca, o nelle farmacie, ma andavano male ed ero sempre in carcere. Scontata la pena, uscivo, dopo una settimana riprovavo con un’altra rapina, e tornavo in carcere.

Durante l’ultima carcerazioni feci il conteggio, scoprendo che degli ultimi 20 anni ne avevo passati 15 in carcere, 2 agli arresti domiciliari e 2 in comunità per tossicodipendenti. Ero stato in libertà un solo misero anno. Era un vero disastro.

Decisi di chiedere l’aiuto molto in alto, a Dio stesso. Andai in chiesa, accesi un cero e pregai perché mi facesse fare un bel colpo il giorno successivo, almeno 50.000 euro in una bella rapina alla posta, che in quei giorni stavano pagando le pensioni. Ero un suo devoto e a buon titolo aspettavo l’aiuto di Dio. Vidi che in chiesa era pieno di vecchiette che venivano ad accendere una candela, a dire una preghiera veloce, e se ne andavano. Pensai che nella cassettina dove tutti mettevano i soldi ci doveva essere un bel gruzzolo. Quando finalmente rimasi solo aprii la cassettina, e presi velocemente tutto quello che c’era dentro. Sentivo che avevo le tasche piene, ma non potevo mettermi a contare i soldi per strada. A casa svuotai tutto e contai. Rimasi senza fiato, mi ricordo ancora la cifra, perché era particolare: 111 euro!

Altro che banche e farmacie, che si rischiava tanto, qui c’erano soldi facili senza rischiare. Dio mi aveva ascoltato e aiutato! Mi aveva indicato lui stesso che cosa fare!

Le chiese divennero i miei obiettivi. La prima settimana feci una sessantina di chiese. Era facile come bere un bicchier d’acqua. Tutti i giornali parlavano di me.

“Quell’uomo è spinto dal diavolo. Finirà all’inferno!” aveva tuonato il vescovo all’omelia.

Dopo circa 400 furti in varie città e regioni vicine, mi scoprirono, e presi una montagna di anni di condanna. Una vera montagna.

Ero in carcere da poche settimane quando un poliziotto mi disse che qualcuno mi voleva parlare. Che fosse l’avvocato? Che fosse il magistrato per avere ulteriori informazioni? Entrai nella stanza e nel piccolo ufficio trovai il cappellano del carcere.

«Buongiorno, entra, entra, figliolo.»

«Buongiorno padre.»

Mi sedetti, per sentire cosa il cappellano aveva da dirmi.

2 «Come va?» «Beh, insomma è abbastanza uno schifo, ma tiro avanti.»

«Sai, abbiamo pensato molto, in questi due mesi, non ti ho mai visto alla funzione religiosa, poi c’è quella storia della maledizione…»

Io tacevo e aspettavo che il cappellano continuasse.

«Sai, la tua lontananza dalla fede, ci siamo domandati se non era il caso di fare qualcosa.»

«Domandati, ma chi esattamente chi se l’è domandato?»

«Noi: il e il Vescovo.»

«Il Vescovo?» sorrisi, «E che cosa vorreste fare, di preciso?»

«Sai,» disse sottovoce il cappellano, come per timore di essere sentito da qualcuno, «pensiamo che ci sia sotto qualcosa, una maledizione, ci sia qualche spirito negativo, ci sia… Insomma, cerca di capire. Parlo sottovoce apposta, perché non mi senta…»

«Ma dove sarebbe questo spirito negativo? E chi ci potrebbe sentire adesso?» domandai ancora più sottovoce, con un’ironia non colta dal cappellano.

«Lo spirito negativo! Il maligno! Lui ci potrebbe sentire!»

No, non ci potevo credere: ormai abbondantemente dentro al terzo millennio,

chiuso il lungo capitolo dell’Inquisizione, bruciate le ultime streghe alcuni secoli prima, ancora stavano cercando il maligno! E poi dove lo stavano cercando?

«E scusi, dove sarebbe questo maligno?» dissi, veramente stupito.

«Shhhh… Parla piano che ci sente! È dentro di te!»

«Dentro di me?» dissi, incurvandomi e flettendo leggermente la testa in avanti,

portando le mani verso il cappellano e guardandomi entrambe le braccia.

«Sì, i furti in tutte quelle chiese, lui ti guidava e ti proteggeva. È la prova che il maligno non se ne è mai andato definitivamente, era quiescente, ma ora è tornato. E noi abbiamo pensato a cosa fare.»

Io faticai a non ridere perché quell’uomo era serio e convinto. Ma non potevo fare nulla per lui e per le sue paure verso il maligno.

«E cosa vorreste fare?» sussurrai ancora sottovoce.

«Un esorcismo! Un potente esorcismo per scacciarlo.»

«Perché?»

«Non vieni a messa, non preghi, non credi, è il maligno che fa tutto questo.»

3 «No, no, sono io che cerco di credere in ciò che esiste, in ciò che è vero. Sono fatto così. Non è che non credo, io cerco di scoprire la verità, io sto ricercando la verità.»

«Vade retro! Machil calè tia mun daimon fircum!» disse il cappellano, alzandosi in piedi, e ponendomi le mani in testa, per allontanare il demonio.

Io rimasi seduto dov’ero, non cercando neanche di controbattere.

«Queste sono potenti parole contro il demonio, è la lingua degli angeli!»

«Padre, guardi, io sto bene così. Continuerò le mie ricerca e troverò, forse, la verità, perché la verità c’è ma forse non ci è dato di saperla. O forse la verità neanche c’è.»

«Tu non sai cosa dici. Non sei tu che parli, è il demonio!»

«Padre, si calmi, sono io, mi guardi.»

«Torneremo, torneremo. E ti cacceremo! Ti estirperemo! Se serve, ti verremo a prendere lì dentro con le nostre mani!» disse il cappellano parlando direttamente al demonio, protendendo la sua mano magra e nodosa, stringendola come se avesse finalmente preso il demonio per il collo, senza dire per dove sarebbe entrato con la mano per afferrare il demonio.

Poi ci salutammo e io non pensai più a quell’incontro.

Due mesi dopo un poliziotto arrivò trafelato alla mia cella, dicendomi di vestirmi per bene perché il Direttore, preoccupato, mi voleva vedere con una certa urgenza.

Poco dopo entrai nell’ufficio del Direttore. Con lui c’erano altre tre persone sedute attorno al tavolo.

«Buongiorno, venga, venga. Il cappellano del carcere, che lei conosce bene…»

«Buongiorno Direttore. Sì, conosco il cappellano, ci siamo già incontrati e ci siamo scambiati idee e opinioni interessanti.» dissi.

«E poi due figure importanti, che si presenteranno da sole.»

«Buongiorno.» salutai gentilmente.

«Buongiorno, sono il Vescovo.»

«Ohhh, piacere.»

«Buongiorno, sono frate Armando, esorcista.»

Non sapevo chi guardare, temevo che questi, dopo tutti quei furti in chiesa, si fossero convinti che io avessi veramente dentro qualche demonio, o che mi portassero in un ospedale psichiatrico. Anche se l’Inquisizione era finita da un pezzo, decisi comunque di non contraddirli.

4 «Il Vescovo è entrato da un cancello secondario, non lo sa nessuno, non vogliamo dare troppa pubblicità all’evento, potrebbe essere negativa, lei capisce bene.» spiegò serio il Direttore.

«Figliolo, il cappellano del carcere, padre Mattia, mi ha detto del problema, della situazione, di questi influssi.» cominciò il Vescovo.

«Sì.» risposi, cercando di capire dove volesse arrivare, e riproponendomi di non contraddirlo, per non avere problemi.

«La faccenda è grave. Troppe sono le coincidenze. Tutti quei furti, nella casa del Signore, anzi sono tante case, circa 400 chiese. È tanto. È veramente troppo. Ma non sei tu. Non sarai un santo, ma non puoi essere così terribile. No. Qui c’è chiaramente il demonio, qui Satana è presente, dentro di te, ma noi lo estirperemo e liberemo la tua anima.» disse serio il Vescovo, stringendo bene il pugno come se stesse tirando il collo al diavolo, con un gesto simile a quello del cappellano. Tutti volevano prendere il demonio per il collo.

«Mi scusi, Eccellenza, ma è sicuro? Io sono sempre stato un rapinatore, non ho mai lavorato, solo che con le rapine finivo in carcere, sono passato ai furti ma sono ancora in carcere. Se Satana fosse dentro di me, mi proteggerebbe, ora sarei fuori, no? Questi furti nelle chiese non sono certo dovuti a un attacco causato da Satana che secondo voi sarebbe

dentro di me. Sono io che sono uno scansafatiche, un vagabondo, un delinquente di mezza tacca. Tutto qui. È tutto a posto, credetemi.» provai a ribattere.

«Figliolo, il demonio ha manifestazioni molteplici e mutevoli, noi non sappiamo come fa, ma sappiamo che lo fa, e i tuoi gesti sacrileghi ne sono la prova!»

«Eccellenza, se ritiene che sia così, allora levatemi da dentro questo orribile demonio!» gridai con le mani al cielo, e baciai il Vescovo.

«Bravo! Bravo! Sei già sulla via della guarigione!» disse il cappellano.

«Abbiamo portato con noi frate Armando, famoso esorcista, che ha curato varie persone. Adesso lui ti imporrà le mani, e noi lo aiuteremo.» «Sarà, sarà quindi un vero esorcismo?» domandai, fingendosi sorpreso. Mi ricordavo le risate che mi ero fatto da ragazzino quando avevo visto “L’Esorciccio”.

«Certo!» disse subito il frate, «Le indicazioni ci sono tutte, ci sono tutte le prove del demonio.»

«Bene, sono pronto. Se ci sono le prove, allora iniziamo subito!» «Cominciamo!»

5 «Qui?» domandò il Direttore, che pensava che poi il demonio, uscito in qualche modo da dentro di me, trovasse rifugio nel suo ufficio, nascosto magari dietro la pianta di ficus a cui teneva molto, «Non potete magari andare nella cappella, là è un luogo sacro, magari la Madonna intercede, lo Spirito Santo vi aiuta…»

«No, qui!» lo zittì il frate, temendo che poi il demonio si sarebbe magari nascosto nella cappella. Che andasse pure tra le foglie del ficus del Direttore!

Il Direttore era dall’altra parte della scrivania, e guardava la scena come se fosse un film. Le sei mani si protendevano verso di me, ora ferme ora toccandomi in testa, come a spingere via il maligno, e dopo qualche minuto di preghiere, iniziarono a parlare con la lingua sconosciuta usata la volta precedente dal cappellano.

Il Direttore, incredulo, si mise a sedere, fissandoli bene con gli occhi sgranati.

«Direttore, stia tranquillo, sembra un po’ greco e un po’ latino, ma è la lingua degli angeli.» lo rassicurai.

«Zitto! Meno si parla meglio è!» intervenne frate Armando.

Non ci furono le scene del film l’Esorcista, non mi rotolai per terra, non mi uscì né la bava né il sangue dalla bocca. Dopo una ventina di minuti pensai che se loro non fossero riusciti a levarmi dal corpo il diavolo, o meglio, se io non li avessi convinti che mi avevano levato il diavolo dal corpo, le cose per me sarebbero potute peggiorare. Ci mancava solo che dicessero che ero talmente indemoniato che neanche il demonio mi lasciava più! Restando a occhi chiusi, alzai le mani e dissi qualche parola usando anch’io la lingua degli angeli, riprendendo alcune sillabe che avevo sentito ripetere più volte, e mi misi in piedi.

«Ora vattene via! » gridai, e poi si rimisi a sedere.

Tutti smisero di parlare, restando in attesa.

«Se n’è andato, l’ho sentito, è uscito dal naso e dalle orecchie, ho sentito le vibrazioni mentre usciva, era lui la causa di tutto.» dissi con un filo di voce, come se uscissi da una situazione di torpore.

«Era Lucifero! Se ci sono le vibrazioni si tratta di Lucifero!» disse contento frate Armando, che sulle vibrazioni di Lucifero aveva scritto un libro e aveva tenuto qualche conferenza esplicativa. Satana usciva causando grande dolore, il più modesto Lucifero faceva solo le vibrazioni.

Bastò questo piccolo gesto a farli contenti per il successo ottenuto. Soprattutto frate Armando, perché ancora tre esorcismi riusciti e sarebbe diventato Vescovo della Congregazione per gli Esorcismi, andando a vivere addirittura in Vaticano. 6

Io ringraziai il cappellano, il cappellano ringraziò il Vescovo, il Vescovo ringraziò il frate per un altro esorcismo ben riuscito, il frate mi ringraziò, io non ringraziai nuovamente il cappellano se no avremmo fatto un altro giro di saluti, per cui ringraziai il Direttore e i ringraziamenti finirono lì. Poi ci salutammo e ognuno tornò alle sue occupazioni.

Erano tutti contenti, in primis frate Armando, poi il vescovo e infine anche il cappellano. Uscirono tutti con un ampio sorriso sulle labbra. Francamente anch’io ero molto contento, perché temevo che quelle strane idee che i tre si erano messe in testa mi creassero ulteriori problemi. E invece era finito tutto bene anche per me.

L’unico un po’ in ansia era il Direttore, che guardava con occhio sospetto dietro il suo ficus. Mentre uscivamo, vidi che si era alzato per ispezionarlo per bene, ma per sua fortuna non trovò nessun ospite sgradito.

Sì, adesso era ufficiale: Lucifero se ne era proprio andato.

Presto avremmo avuto un Vescovo in più nell’aspra e dura lotta contro il maligno.

Quanto a me, quella fu una lezione che non dimenticherò: non farò più furti, perlomeno nelle chiese…